“La crisi della frutta italiana non è legata alla congiuntura, ormai è diventata strutturale. Tuttavia intravedo un futuro di crescita dei consumi di frutta nel mondo e in particolare prospettive favorevoli per le nostre produzioni legate proprio all’appeal del made in Italy oltre-confine. Questo vale ancora di più per la nostra frutta, coltivata in un paese mediterraneo, quindi in condizioni ideali di produzione, e da sempre ricercata per la sua grande qualità”. Con questa premessa Francesco Donati, presidente nazionale della Federazione di prodotto, inquadra la situazione del comparto.
L’export come carta da giocare legato al riconoscimento da parte della comunità scientifica internazionale del valore nutrizionale e delle proprietà salutari legate al consumo di frutta. “Assieme alla verdura non deve mai mancare sulla tavola degli italiani e dei cittadini del mondo, questa è una regola di vita che anche negli Usa, paese tanto lontano dalla cultura della nostra dieta mediterranea, sta propagandando anche la first lady, Michelle Obama”.
“Per incrementare le esportazioni – sottolinea però Donati – sono necessari accordi bilaterali tra i diversi Paesi extra-Ue: questo è il grande problema della nostra frutta. La politica dell’Ue e il Governo italiano dovrebbero cercare di stringere di più i tempi su questi obiettivi. Nel nostro comparto i negoziati con alcuni Paesi stanno purtroppo andando avanti da 15 anni. Ad esempio è iniziato 6 anni fa il negoziato per esportare i kiwi italiani in Israele e recentemente è stato chiesto l’invio di ulteriore documentazione”.
Un altro grande traguardo che la politica deve porsi riguarda la parità di condizioni all’interno dei Paesi dell’Ue: “Chiediamo – precisa Donati – un’armonizzazione sull’impiego di prodotti fitosanitari. Ancora oggi alcuni prodotti ammessi in Spagna sono vietati in Italia, mi riferisco ad esempio all’utilizzo di un brachizzante. Abbiamo inoltre dei limiti sui residui ammessi molto restrittivi che non sono applicati ai prodotti di importazione. Qui esiste anche il problema degli scarsi controlli sulle produzioni in ingresso nel nostro Paese”.