Interprofessione e contratti di filiera, maggiore sinergia e concertazione tra le parti economiche – industria in primis – per recuperare margini di competitività sul mercato dei cereali, sull’esempio ‘qualitativo’ della francese Agrimer. Ma anche miglioramento del sistema di stoccaggio e produzione di grano duro made in Italy di qualità. Questi gli assi portanti su cui puntare per rilanciare il comparto dei cereali secondo quanto emerso a Roma nel corso del focus “Frumento e grandi colture: per una strategia dell’interprofessione”, organizzato da Confagricoltura in collaborazione con L’Informatore Agrario. Al tavolo, oltre al presidente di Confagricoltura, Mario Guidi, alcuni tra i più importanti attori nazionali e internazionali del comparto, tra cui il presidente di Assalzoo, Alberto Allodi, il presidente AIDEPI, Paolo Barilla, e il presidente di Italmopa, Ivano Vacondio.
Per il presidente di Confagricoltura, Mario Guidi: “Come filiera dobbiamo cambiare approccio ai problemi e trovare tra di noi le risposte a programmazione e destinazione delle produzioni, valorizzazione del made in Italy e quindi un prezzo soddisfacente nei vari passaggi dal campo allo stoccaggio fino alla trasformazione. E questo prima ancora di chiedere il sostegno delle varie Istituzioni pubbliche. L’obiettivo che ci dobbiamo porre è quello di costruire una ‘cabina di gestione’, di ‘pilotaggio’ come l’hanno chiamata significativamente i francesi, dei rapporti di filiera di nuovo tipo, non diretti a tirare la coperta da una parte o dall’altra, ma finalizzati a costruire un modello di collaborazione tra imprese. Per parlare concretamente di mercato e definire il prezzo ma, soprattutto, per programmare il percorso di crescita del sistema, superando le vecchie logiche speculative. Per tutto ciò la sede ideale è l’interprofessione di prodotto: frumento o soia che sia”.
Tra gli aspetti affrontati, anche quello della qualità. Per il presidente di Confagricoltura, Mario Guidi: “Come agricoltori, dobbiamo fare la nostra parte continuando a impegnarci per migliorare la qualità. Ma questa qualità deve poi essere riconosciuta, selezionata e premiata da stoccatori e trasformatori, evitando di fare di tutto il grano un mucchio e di vanificare così i nostri sforzi per produrre al meglio. E non dobbiamo scandalizzarci se il prodotto raccolto viene diversamente collocato sul mercato a seconda della sua qualità. Anche questo è un modo per valorizzare il made in Italy. Anche se l’obiettivo principale resta quello di aumentare globalmente la quantità di qualità”.